Se tutti conoscono il Tintoretto e le sue immense tele, non si può dire altrettanto di Marietta Robusti, “la Tintoretta”, primogenita del pittore e valente ritrattista, a cui il padre trasmise tutti i suoi segreti, ma a cui non permise mai di spiccare il volo, tarpandole le ali con un matrimonio affrettato. Solo qualche esperto d’arte ha poi sentito parlare di Fede Galizia e delle sue nature morte di struggente bellezza, di Giovanna Garzoni, che pure lavorò per Casa Savoia, o di Lavinia Fontana che, mentre partoriva undici figli, fu ritrattista alla corte di papa Gregorio XIII. E lo stesso dicasi di Orsola Maddalena Caccia, che praticò la sua arte fra le mura di un convento, di Virginia da Vezzo, che seguì il marito pittore alla corte di Luigi XIII, o di Elisabetta Sirani e della sua bottega al femminile nella Bologna di metà ‘600.

Complice una miope tradizione che relegava tutta la conoscenza in mani maschili, le artiste del rinascimento e del barocco, a prescindere dalla loro formazione, estrazione sociale o da quanta fortuna abbiano conosciuto in vita, sono quasi tutte scivolate nell’oblio e relegate nei secoli seguenti a occupare un ruolo marginale nella storia dell’arte.
A ricordarle oggi ci pensa il Museo di Belle Arti MSK di Gent con la mostra “The Ladies of the Baroque”, dal 20 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019, dedicata alla donne pittrici italiane del XVI e XVII secolo.
Il percorso si snoda attraverso una cinquantina di opere provenienti dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, dalla Gemäldegalerie di Berlino e dalla Galleria Borghese di Roma, oltre che da varie collezioni private, alcune delle quali mai esposte al pubblico ed è arricchito da un’esposizione di oggetti decorativi e di uso comune, che aiutano a contestualizzare e comprendere meglio i lavori delle artiste esposte. Fra di esse c’è anche Sofonisba Anguissola, la prima pittrice a raggiungere una fama internazionale e l’unica a non essere figlia, moglie o sorella di artisti.
Principale richiamo della mostra sono però le caravaggesche e possenti figure di Artemisia Gentileschi, il cui nome più di ogni altro ha resistito alla prova del tempo, complice anche la sua travagliata biografia e la nota vicenda del processo per stupro, che ne segnò indelebilmente la vita e l’opera.
La mostra dell’MSK si pone comunque l’obiettivo di guardare ai lavori della Gentileschi prendendo le distanze dalle sue traversie, in nome delle quali è spesso stata vista come una solitaria eroina dell’arte femminile e collocandoli invece in un contesto più ampio, nella ricerca di una matrice comune con le altre artiste del periodo.
La galleria di ritratti, autoritratti, nature morte e allegorie, tematiche a cui la creatività femminile era forzatamente confinata da incrollabili pregiudizi, sembra allora parlare un linguaggio omogeneo. E proprio il sorprendente naturalismo e la toccante profondità di queste opere sembrano farsi strumento per forzare i limiti e le rigide regole di genere.
In altre parole, ciò che nella Gentileschi viene gridato, altrove è appena sussurrato, ma si tratta sempre dello stesso seme di ribellione.