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Dovette essere un grande momento per Amilcare Anguissola, padre di Sofonisba, quando si vide recapitare una lettera di Michelangelo in risposta ad alcuni schizzi della figlia che aveva osato inviargli qualche tempo prima, unitamente alla proposta di ricevere un suo disegno “perché lei lo colorisse in olio”.
Il vecchio maestro, probabilmente ignorando la seconda richiesta, intuì subito il valore di quanto si era trovato fra le mani e si affrettò a impugnare la penna per esprimere all’Anguissola tutto il suo apprezzamento.
Cosa fu ad attrarre l’attenzione di un gigante dell’arte sul lavoro di una ragazza poco più che ventenne, tanto da strappargli la presunta affermazione che lui stesso non avrebbe saputo fare di meglio?
L’opera in questione è un carboncino su carta intitolato Fanciullo morso da un gambero, che oggi si trova al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, al Museo di Capodimonte, Napoli.
Michelangelo, al di là della maestria nell’esecuzione, dovette subito apprezzare il carico di novità che rendeva quel disegno tanto significativo.
Vari decenni erano passati da quando Leonardo, nel suo Trattato della pittura, aveva dettato le sue raccomandazioni agli artisti. “Considerate quelli che ridono, quelli che piangono, guardate quelli che con ira gridano, e così tutti gli accidenti delle menti nostre”, perché “se le figure non esprimono la mente, sono due volte morte”. E, sulla scia del genio vinciano, l’arte aveva già imboccato una nuova direzione, cominciando a rivolgere il suo sguardo all’interiorità per interessarsi ai moti dell’animo e al loro riflesso sui tratti del volto. Un argomento che appassionava Michelangelo stesso, il quale aveva addirittura in animo di scrivere un trattato, che però non vide mai la luce.
Anche Sofonisba Anguissola, con la sua abilità nel cogliere la profondità psicologica dei soggetti da lei ritratti, si inseriva perfettamente fra le avanguardie di quegli studi fisiognomici che, partendo dall’ambito lombardo, stavano dilagando in ogni dove.
Ma in quel disegno, nella smorfia di quel bambino morso da un gambero c’era qualcosa di più.
Catturando l’esatto momento in cui un moto di dolore si trasmette ai tratti del volto, Sofonisba era riuscita a rappresentare l’istante. Qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima di allora.
Michelangelo l’aveva capito e, meno di mezzo secolo dopo, l’eredità arriverà dritta a un altro grandissimo artista, che di nome faceva sempre Michelangelo.
È fuor di dubbio infatti che nel suo Fanciullo morso da un ramarro, Michelangelo Merisi, il Caravaggio, abbia reso palese omaggio all’intuizione di Sofonisba, pur caricandola di nuove suggestioni e simbologie.
Ecco ormai avviato il viaggio inarrestabile verso il continente sommerso dell’inconscio, fondamentale punto di partenza che aprirà la porta agli orizzonti della contemporaneità.