Il patrimonio artistico in guerra

Il generale Clark, ovvero il comandante americano a cui si deve l’ordine di radere al suolo l’abbazia di Montecassino, disse che “fare la guerra in Italia è come combattere in un maledetto museo d’arte”.
Sacrosante parole, che fotografano quanto fosse drammatica e precaria la situazione dello sterminato patrimonio artistico e architettonico del nostro paese, alle prese da un lato con i bombardamenti a tappeto e dall’altro con l’avanzare del fronte, che dopo lo sbarco alleato in Sicilia stava risalendo la penisola, trasformando città, borghi e campagne in una terra desolata, ricoperta di macerie.


Ma questi non erano gli unici rischi a cui furono esposti i tesori artistici italiani, come peraltro quelli di tutta Europa, durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Esisteva un altro pericolo, non meno insidioso, e mi riferisco alla più colossale operazione di saccheggio del ‘900, sistematicamente messa in atto dai nazisti ai danni dell’intero patrimonio culturale europeo. Tutto ciò avvenne durante la guerra, ma in Italia ebbe inizio molto prima.

La grande passione di Hitler

L’ossessione nazista per l’arte risale probabilmente alle aspirazioni frustrate di Hitler, che in gioventù, nel 1907, si vide respingere dall’Accademia di belle arti di Vienna. Mosso forse da una delirante volontà di rivalsa, il Führer pose l’arte al centro del suo distorto pensiero e, come ebbe a dire Heinrich Hoffmann in occasione della pubblicazione di una raccolta di acquerelli del cancelliere, esiste un profondo legame fra le opere artistiche del Führer, la sua “grande opera politica” e la sua “idea creatrice”.
Hitler utilizzò dunque l’arte come arma di propaganda, lavorò gomito a gomito con architetti di grido come Albert Speer ai plastici delle sue faraoniche città ideali e stabilì canoni estetici rigidissimi, esercitando un feroce controllo sugli artisti di tutte le discipline. La cosiddetta “arte degenerata” fu messa al bando, salvo continuarne un lucroso commercio sottobanco, mentre, per assicurarsi che gli artisti incriminati non osassero più lavorare, agenti della Gestapo eseguivano controlli a sorpresa e un semplice odore di trementina o un pennello umido erano motivo sufficiente per un arresto.
Parallelamente Hitler lavorava ad arricchire la sua collezione personale, con speciale predilezione per l’arte germanica, la statuaria classica e l’arte rinascimentale. Mentre coltivava il progetto di costruire a Linz, la città della sua infanzia, il Führermuseum, che sarebbe stato il più grande museo mai concepito, attingeva a piene mani alle collezioni confiscate agli oppositori politici e agli ebrei. E avendo intuito le possibilità offerte dall’occupazione di altri Paesi, si era già preoccupato di stilare elenchi di opere desiderate, di cui appropriarsi appena possibile.

Gli occhi sull’Italia

L’Italia fu una delle sue prime scelte. Si racconta che, durante la sua visita nella città di Firenze, nel 1938, Hitler sia rimasto letteralmente folgorato da Palazzo Pitti e soprattutto dalla Galleria degli Uffizi, soffermandosi un tempo interminabile davanti a ciascuna opera, tanto da suscitare l’impazienza di Mussolini, che d’altro canto non possedeva una spiccata sensibilità artistica.
Il Duce, il quale sosteneva che in Italia ci fosse “troppa arte e troppo pochi bambini”, non aveva particolarmente a cuore il patrimonio artistico nazionale e non si faceva quindi scrupolo di compiacere l’alleato in ogni suo desiderio.
La commissione nazista per l’acquisto delle opere d’arte, capeggiata da Filippo d’Assia, il genero di Vittorio Emanuele III, avanzava le sue richieste. Queste in genere comprendevano opere d’arte vincolate dallo Stato italiano, di cui sarebbe quindi stata vietata l’esportazione. Il ministro degli esteri Galeazzo Ciano, quando non Mussolini in persona, aggiravano però abilmente il divieto opposto dal ministro dell’educazione Giuseppe Bottai, ottenendo sempre il nulla osta alla fuoriuscita delle opere. Per queste acquisizioni, oltre al prezzo di vendita il più delle volte puramente simbolico, i tedeschi non dovevano neppure pagare la tassa di esportazione dato che, con un comico giro di capitali, lo Stato Italiano, nello specifico il Ministero degli esteri, si era accollato l’onere di versarla a se stesso.
Centinaia di opere presero allora la via della Germania, a partire dal Discobolo, copia romana dell’originale in bronzo di Mirone, proseguendo con oggetti preziosi, arredi e dipinti di Tiziano, Tintoretto, Leonardo, Raffaello, Lotto, solo per citarne alcuni, in un’emorragia senza fine, diretta ad arricchire le collezioni private non solo di Hitler, ma anche di diversi altri gerarchi, il più vorace dei quali era senz’altro Hermann Göring. Solo quest’ultimo, già peraltro responsabile di aver incamerato l’intero patrimonio polacco e buona parte dei tesori del Louvre, fece partire dall’Italia 34 casse nel 1941 e 77 l’anno successivo. Tutti colli che arrivarono ancora perfettamente sigillati, senza che gli addetti doganali si disturbassero neppure a controllarne il contenuto.

Licenza di saccheggio

Dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 e soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre, che portò i nazisti a marciare sulla penisola, la situazione precipitò ulteriormente. Gli espedienti delle finte vendite non furono più necessari e le truppe avevano spesso mano libera per requisire ciò che desideravano.
Anche per l’Italia i tedeschi istituirono il Kunstschutz, già operativo in altri territori occupati. Il cosiddetto “Reparto di protezione dell’arte”, ufficialmente nato con l’intento lodevole di preservare i tesori artistici dai rischi bellici, finì per rivelarsi un’arma a doppio taglio, in quanto le opere venivano sì rimosse dai teatri di guerra, ma con modalità perlopiù ambigue, senza contare che spesso la loro destinazione finale si trovava oltre confine.

Roma, 4 gennaio 1944. Soldati tedeschi della divisione Hermann Göring in posa durante la riconsegna ufficiale delle opere, di fronte a Palazzo Venezia. Il quadro mostrato è Carlo di Borbone visita il papa Benedetto XIV nella coffee-house del Quirinale di Giovanni Paolo Pannini, oggi al Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli. (Bundesarchiv, Bild 101I-729-0001-23 / Meister / CC-BY-SA 3.0)

Un esempio eloquente fu la vicenda delle opere evacuate da Montecassino dalla divisione corazzata Hermann Göring con lo scopo ufficiale di proteggerle dai bombardamenti alleati, ma in realtà con il chiaro intento di appropriarsene.
Solo mesi di trattative diplomatiche, un’azione congiunta del Vaticano e del governo italiano, nonché il forte pressing della stampa straniera, riuscirono a sbloccare la questione e costringere finalmente la divisione a restituire il prezioso carico, che fu riconsegnato in pompa magna in Piazza Venezia, sotto i riflettori della macchina di propaganda tedesca. Peccato che all’appello mancassero ben 15 casse, le quali, si scoprì in seguito, avevano preso la via di Berlino come regalo di compleanno per il capo della divisione.
Ancora più rocambolesca fu l’odissea partita dalle opere degli Uffizi e di Palazzo Pitti, una vicenda complessa e ricca di colpi di scena, che ho intenzione di ripercorrere in un futuro post.

Un’altra faccia della Resistenza

Se il patrimonio artistico italiano ha potuto in larga parte sopravvivere a questo momento storico di pura follia e totale confusione, è soprattutto per merito di persone che hanno lottato per proteggerlo, a rischio anche della propria vita.
Non mi riferisco solo ai Monuments Men, resi celebri dal film di George Clooney. Questo corpo paramilitare, istituito dagli americani quando si resero conto che i loro bombardamenti stavano rischiando di cancellare intere pagine di storia dell’arte, aveva il compito importantissimo di scongiurare distruzioni inutili e di salvaguardare per quanto possibile le opere dislocate nei teatri di guerra, ma era costretto a seguire la linea del fronte, procedendo di pari passo con l’esercito alleato.
Altri invece operavano dietro quella linea, in pieno territorio occupato. Eroi sconosciuti, oscuri funzionari e soprintendenti di provincia, per non parlare della rete che faceva capo all’organizzazione clandestina creata da Rodolfo Siviero, un vero e proprio agente segreto dell’arte, combatterono una coraggiosa Resistenza con le armi a loro disposizione ed è soprattutto grazie a loro se l’arte e la bellezza hanno potuto essere consegnate quasi intatte alle generazioni future.